Dopo la fine della Seconda guerra mondiale l’esodo italiano verso il nuovo mondo e il resto dell’Europa è stato tanto considerevole, che ancora oggi molti italiani hanno parenti che vivono in vari continenti, proprio perché hanno affrontato l’emigrazione per sopravvivere.
Passata questa prima fase, dalla metà degli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta, l’Italia ha subito un ulteriore passaggio migratorio, che però è stato interno alla penisola. Infatti, gli abitanti delle città del Sud Italia si sono riversati verso il triangolo industriale di Milano, Torino e Genova. E le regioni del meridione più colpite dall’abbandono sono state la Campania, la Puglia, la Calabria ed anche la Sardegna, che vedevano il Nord come unica ancora di salvezza per trovare un lavoro. Si stima che dal 1958 al 1963 oltre 1.300.000 persone abbiano attraversato l’Italia, alla ricerca del benessere economico.
Anche la vicina Svizzera e la Germania erano però mete ambite e i lavori che venivano assegnati a questi emigrati erano prettamente manovali. Il boom dell’edilizia italiana era motivato soprattutto dalla ricostruzione post bellica, e gli operai servivano per costruire i palazzi nelle periferie, ma nel centro della Capitale. Infatti, Roma era diventata il nucleo del lavoro terziario e amministrativo e attirava in egual modo gli italiani.
Ovviamente, le condizioni lavorative non erano delle migliori, almeno fino a quando, alla fine degli anni Sessanta, la fabbrica della Fiat decise di promuovere migliaia di assunzioni. E solamente in quel caso si incominciò a parlare di “sicurezza” del lavoratore, che fino ad allora moriva ogni giorno nei cantieri.
La vita dell’emigrante non era semplice, viveva in delle aree periferiche, insieme a tutti coloro che avevano percorso il viaggio della speranza ed era per lo più isolato dagli abitanti del settentrione. La mancanza delle proprie origini, di solito contadine, delle loro terre e molto spesso delle famiglie che venivano lasciate a casa, lasciavano un senso di vuoto, che si scontrava con quel minimo di benessere raggiunto.
Le condizioni di vita erano per lo più di sfruttamento, tanto che ala fine degli anni Sessanta incominciarono a nascere i primi sindacati, che lottavano per le condizioni degli operai emigranti e residenti.
In questi anni il viaggio per alcuni è stato l’inizio di un qualcosa che è andata costruendosi tra la sofferenza, l’accettazione di soprusi e lo scherno, per altri invece è stato la rinuncia e il ritorno verso casa, tra il sole e la terra. Ancora oggi sono numerosi gli abitanti del settentrione di origine meridionale, che conservano le proprie radici, ma che ringraziano quella terra che gli ha aiutati oltre cinquanta anni fa.
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