Ogni invenzione o tecnologia
è un’estensione o un’autoamputazione del nostro corpo,
che impone nuovi rapporti o nuovi equilibri
tra gli altri organi e le altre estensioni del corpo
Marshall McLuhan,
Gli strumenti del comunicare, Est, Milano, 1999, p. 56
Gli anni Sessanta hanno segnato una trasformazione epocale dell’Italia postbellica e il trionfo in tutto il mondo occidentale dell’american way of life, grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. L’economia e l’industrializzazione conoscono uno sviluppo senza precedenti che farà dei decenni Cinquanta e Sessanta del Novecento, l’età d’oro del capitalismo. Cambia radicalmente anche l’universo culturale italiano, cambiano i gusti e le tendenze artistiche: il neorealismo lascia il passo alle suggestioni del pragmatismo e del neopositivismo americani e comincia a diffondersi un interesse per le «nuove scienze»: la psicologia comportamentale, la sociologia, l’analisi del linguaggio.
Naturalmente la comunicazione risente immediatamente delle trasformazioni apportate dalla società del benessere. Non cambia solo il modo di comunicare ma cambiano anche il messaggio che si vuol trasmettere, il suo contenitore e il mezzo su cui viaggia l’informazione.
Il giornalismo vede l’alba di una nuova era con testate quali «L’Espresso», settimanale graficamente nuovo e accattivante, finanziato da Adriano Olivetti (1955) o «Il Giorno», fondato dal presidente dell’ENI Enrico Mattei (1956), che rinnova il linguaggio, i contenuti e l’impaginazione.
La comunicazione viene completamente travolta dalla diffusione della televisione che inizia la programmazione ufficiale con la RAI dal 1954. Questo nuovo mezzo di comunicazione, insieme alla radio e al cinema, riscrive le abitudini dei cittadini che riorganizzano il loro tempo, soprattutto quello libero. Si delinea velocemente una nuova «cultura di massa: una cultura in cui l’immagine tende a prevalere sulla parola scritta; una cultura i cui prodotti e i cui modelli – prevalentemente di origine americana – si diffusero in tutto il mondo imponendo ovunque nuovi linguaggi e nuovi valori»[1]
Inizia così il processo di massificazione della comunicazione: l’informazione diventa sempre più spettacolare grazie a un mezzo che può riprodurre immagini, suoni, colori e parole contemporaneamente. Dopo la tragedia della guerra, la disinformazione ereditata dalla censura e il forte autoritarismo, emerge un urgente bisogno di evasione, di leggerezza che la televisione riesce a raccogliere e a veicolare: i contenuti passano in una forma più soft, molto meno impostata dei rigidi schemi dell’informazione divulgata dai cinegiornali. Il linguaggio televisivo è colloquiale, gli anchorman e i conduttori televisivi sono persone vere, hanno voci calde e umane nelle quali il telespettatore si può riconoscere; niente a che vedere con le voci anonime, meccaniche e cadenzate dell’informazione fascista.
La televisione crea un pubblico unico, indistinto e variegato. I destinatari non erano più la casta dei politici, dei chierici, o i gruppi di soldati, che si avvicinavano alla radio per carpire quelle informazioni utili, né le casalinghe che ascoltavano in quella determinata fascia oraria la trasmissione radiofonica pensata e realizzata appositamente per intrattenerle; non erano più pochi benestanti che potevano permettersi il biglietto del cinema, ma una massa di persone di diversa età, diverso sesso, con origini, stato di famiglia e livello culturale differenti, tutti con la stessa voglia di svago, di divertimento e di quella che allora sembrava il massimo della libertà: negli anni Sessanta la televisione aveva raccolto tutto il popolo davanti a sé.
La caratteristica della comunicazione di massa sta nella divulgazione simultanea di un unico messaggio ad una moltitudine di individui fisicamente lontani tra loro. La forma audiovisiva ha potuto superare le barriere dell’analfabetismo e le differenze linguistiche regionali italiane.
Questo grande potere si è concretizzato nella creazione e nella diffusione della nuova cultura ufficiale di stampo – come dicevo prima – prettamente americano. Modelli umani, etici e culturali nuovi vengono confezionati in contesti di gioco, di show e così proposti agli spettatori. L’informazione televisiva comincia a creare delle tendenze e stabilisce cosa è alla moda e cosa non lo è. La tv racconta un nuovo modello di famiglia, un nuovo modello di donna, un nuovo modello di studente, di giovane, di lavoratore e li diffonde anche attraverso la pubblicità.
Ancora oggi la comunicazione di massa produce schemi di riferimento interpretativi e fornisce scale di valori e di opinioni, sottolinea le questioni sociali più rilevanti, contribuisce a creare l’opinione pubblica e delinea così i temi caldi dell’attualità.
Da un punto di vista sociologico i mezzi di comunicazione di massa hanno avuto la funzione di unificare e divulgare la lingua ufficiale, di uniformare il linguaggio dei giovani di buona parte del mondo, e sono stati fondamentali nel processo di integrazione sociale, fornendo interessi e oggetti d’attrazione comuni ad un gran numero di persone.
Oggi però con l’evoluzione tecnologica, televisione, radio, cinema e web tendono a frammentare e moltiplicare il ventaglio di scelte e possibilità, mettendo continuamente in crisi il concetto di tradizione e i valori del passato. La conseguenza sociologica più evidente della capillare diffusione dei mezzi di comunicazione di massa è la riduzione dei contatti umani interpersonali e la spersonalizzazione dei rapporti sociali, nonché l’identificazione di una condizione di vita comune che comporta, soprattutto nelle nuove generazioni, grandi aspettative e profonde paure.
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