“..E se resti così farai furore: - je disse un Merlo - forse te diranno che sei l'ucello d'un conservatore, ma nun te crede che te faccia danno: la mezza tinta adesso va de moda puro fra l'animali senza coda..”
(Trilussa)
L’arte romanesca, che si tratti di cinema o canzone, un tempo viveva tra glorie e riconoscimenti un periodo di massimo splendore. Il genio capitolino esprimeva talento creativo tramite bocca di interpreti di pellicola e stornelli. Una ridente e colorita pescivendola coinvolgeva il pubblico così come un ricco marchese, senza bisogno di ostentare una bellicosa questione sulla lingua, nemmeno fossimo nel Cinquecento. Oggi l’interpretazione cede il passo a una sempre più sanguinaria esecuzione, in cui il dialetto sfoggiato con voce più alta risulta senza alcun dubbio il più divertente.
Nelle canzoni e su pellicola, o per meglio dire in digitale, le manifestazioni artistiche idiomatiche si riducono a una grottesca rappresentazione vocale del vernacolo, le locuzioni più eccentriche vincono un’ottusa risata.
Se la romanità artistica potesse concretizzarsi in un nucleo familiare esemplare, al fine di rieducare l’adunanza e riportarla al vecchio ordinamento, Anna Magnani sarebbe senza dubbio l’origine, la fonte: Mamma Roma. Un’accezione all’attrice già attribuita in quanto protagonista dell’omonimo film di Pier Paolo Pasolini. Nella nostra metafora però la Magnani si spoglia dei panni drammatici di una prostituta che vuole cambiar vita per il figlio, e diventa educatrice di una generazione. Una genitrice premurosa, che con dedizione si occupa di insegnare, alla prole che lo ha dimenticato, cos’è il cinema romano nella sua essenza e nei suoi valori. L’emozione, la presenza scenica ma anche la spontaneità del premio Oscar Anna, la erigono a maestra di onestà artistica e sensoriale.
Indecisa su chi far ricadere la scelta inerente al ruolo paterno, mi convinco che la fusione tra due personaggi sia il risultato perfetto per erudire il pargolo incolto con rigore intellettuale (Nino Manfredi) e intelligente e innato senso dell’humor (Alberto Sordi). Nasce così Sor Fredi, armonica figura che della mescolanza Nino/Alberto prende il meglio di ognuno. L’autoritario capofamiglia, riconosciuta a fatica la paternità, ha l’obbligo morale di insegnare ai discendenti, davanti a un ciclopico piatto di spaghetti, che “i ribelli morono sempre a vent’anni: pure quando nun morono”.
Per completare l’opera, una zia d’eccezione impartisce lezioni teoriche e pratiche sulla canzone popolare romana. Al fine di dimostrare che lo stornello potrebbe non essere produzione artistica morta, Gabriella Ferri ricorda ai nipoti che er core de Roma nostra può essere raccontato in testi senza rime forzate e turpiloquio abusato.
Il piano di recupero è al completo ma se de cinema romano ce rimane solo l’astio co’ Milano, porta aperta pè chi porta, chi nun porta parta pure.
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